Nostra Signora delle Grazie

Coro Ligneo

All’interno della congregazione di Monte Oliveto, ad esempio, è rintracciabile una precisa trasmissione di conoscenze tecniche da Sebastiano da Rovigno a Giovanni da Verona, e da questi al converso Raffaele da Brescia, morto nel 1537. 
 
In questo contesto va situata l’attività del converso Paolo da Recco, che morì nel 1521 in tarda età (in senectute bona) dopo aver realizzato molte opere (multa eleganter manibus suis perfecit) che gli valsero la stima dei suoi confratelli, ben attestata dall’anonimo Necrologium olivetanum, dal quale sono tratte le precedenti citazioni. 
 
Il coro della chiesa di Nostra Signora delle Grazie è l’unica delle opere realizzate da frate Paolo che sia giunta fino a noi; esso è inoltre il più antico fra i cori intarsiati liguri, precedendo, seppur di poco, quello della Cattedrale di Savona. Esso infatti è riferito agli anni compresi fra il 1496 e il 1501, e ciò in base ai dati desumibili dalle Tabulaefamiliarum e a quelli ricavabili dall’analisi del manufatto, con particolare riguardo allo stemma intarsiato nel dossale dello stallo di centro, riservato all’abate. Non minore l’importanza di questo coro se consideriamo l’ambito territoriale dell’antica diocesi lunense, ove esso trova un corrispettivo soltanto nel coro della chiesa conventuale dell’Annunziata di Pontremoli, di qualche anno posteriore.
 
Un coro identico, perfettamente conservato, si trova nella cappella di Maria Maddalena ora posta nel museo Nazionale del Bargello a Firenze. Nonostante ciò, la critica ha finora dedicato scarsa attenzione a questo manufatto, disinvoltamente riferito, nell’ambito di uno studio recente pur non sprovvisto di dottrina, al territorio lericino.
 
Le ragioni di questo disinteresse appaiono molteplici e fra di esse vi è senz’altro lo stato di conservazione non buono nel quale il coro versava fino a pochi anni fa, prima cioè dell’inizio dei lavori di restauro che ne hanno consentito il recupero. 
 
Dal restauro, che ha interessato anche il leggio, è emerso che il coro è sostanzialmente integro nella sua struttura, mentre gran parte della decorazione intarsiata è perduta, sì che oggi siamo costretti quasi ovunque a leggere “in negativo” i motivi decorativi dei pannelli.  Attorno allo stallo riservato all’abate e caratterizzato, come ho già accennato, da uno stemma a “testa di cavallo” sormontato da una ghirlanda che include i tre monti olivetani, si dispongono undici stalli per parte, mentre quattordici sono gli stalli dell’ordine sottostante: in tutto, quindi, trentasette stalli in noce, sormontati da un coronamento piano e separati, nell’ordine superiore, da semplici lesene scanalate

Dominato com’è da una solida disciplina strutturale, il coro si adegua senza forzature all’andamento poligonale dell’abside, pur caratterizzandosi come entità autonoma; per quanto riguarda le invenzioni dei pannelli, non tutte in verità di alto livello, non sappiamo se frate Paolo si sia valso di cartoni approntati da altri o se abbia disegnato lui stesso i motivi decorativi.

Quel che è certo è che, accanto a soluzioni eleganti ed aggiornate, quale quella che caratterizza la parte superiore del leggio, vediamo semplici riempitivi di schietto retaggio medioevale.   Si tratta di una decorazione di tipo seriale, ottenuta con il sistema del “toppo”, ottenuto assemblando “legni diversi, tagliati e disposti in modo da far risultare al taglio normale un disegno prospetticamente coerente”. In sostanza, l’autore (o gli autori) dei cartoni delle tarsie eseguite da frate Paolo si mostra refrattario alle complesse problematiche prospettiche che proprio nella tarsia, a cavallo fra il secolo XV e il XVI, trovavano uno dei campi d’applicazione più congeniali.

L’unico omaggio a queste problematiche sembrano essere gli archi a tutto sesto che inquadrano i pannelli e che ostentano, ove le tarsie sono meglio conservate, fornici bicolori poggianti su solidi pilastri scorciati in profondità. Come si è detto Paolo da Recco ha lavorato anche a Firenze, ecco alcune fotografie di un coro da lui realizzato a Firenze e custodito presso il museo