Tavola di Sant'Andrea
La scarsa attenzione rivolta a questa tavola trova abbondante giustificazione nella grossolana ridipintura da cui era stata deturpata, probabilmente dalla stessa mano che imbrattò, agli inizi del secolo, le vele della volta.
Profili di rara piattezza, mani mostruose, nuvole da baraccone caratterizzavano gli esiti di questa ridipintura. Fra questo strato e lo strato originale, steso su un supporto assai poveramente preparato, si frapponeva una ridipintura assai tenace anche se solo parziale, databile con tutta probabilità al 1631 sulla base di un’iscrizione lacunosa emersa nella parte inferiore del dipinto, ai due lati della figura di S. Andrea.
La scena è nettamente dominata dalle figure dei santi, tutti e tre barbati e in età matura; un parapetto marmoreo li separa da un ampio paesaggio realizzato con rapidi tocchi, nel quale si scorgono alcuni edifici sui quali ritorneremo.
Nella zona celeste appaiono Maria e il Bambino benedicente (al quale il restauro ha restituito i vezzi di corallo dei polsi e del collo), mentre due angeli reggono una corona sul capo della Vergine; ai lati, simmetricamente disposti, scorgiamo S. Erasmo e S. Caterina di Alessandria e, sulla sinistra, S. Francesco e S. Barbara. S. Erasmo, riconoscibile per le vesti episcopali e per il cero ardente, sovrasta una raffigurazione del castello di Lerici, con palese riferimento al culto tributato al patrono dei marinai a Maralunga, mentre S. Francesco sovrasta la raffigurazione di un fortilizio a pianta centralizzata sul quale sventola la bandiera genovese: il santo allude al convento francescano della Spezia e la fortezza raffigurata è, con tutta probabilità, quella Bastia che venne demolita nella seconda metà del secolo scorso.
La presenza di S. Andrea al posto d’onore rende certa la provenienza di questa tavola dalla distrutta chiesa di S. Andrea di Panigaglia, la quale cedette nel 1798 le funzioni parrocchiali e il titolo alla chiesa delle Grazie.
Fu in questa circostanza che questa tavola, che senz’altro doveva fungere in origine da dossale dell’altare maggiore, fu trasportata nella nuova sede. L’autore del dipinto, destinato per il momento a rimanere anonimo, mostra di conoscere uno dei capisaldi della pittura tardo quattrocentesca nella Riviera di Levante; e cioè la maestà che Carlo da Milano, detto anche Carlo Braccesco, eseguì per la chiesa di S. Andrea di Levanto prima del gennaio 1495.
La disposizione dei tre santi ricalca da vicino, nell’accentuata monumentalità delle figure, quella dei tre protagonisti (S. Pietro, S. Andrea e S. Paolo) della maestà di Carlo da Milano; allo stesso modo, il parapetto marmoreo ricorda da vicino, anche nell’andamento delle modanature e delle specchiature, l’analogo motivo adoperato dal Braccesco.
Siamo dunque in presenza di un’eco non casuale dello splendido trittico levantese, da tempo disperso in svariate collezioni pubbliche e private, del quale si è potuta accertare solo di recente l’originaria pertinenza alla chiesa principale di Levanto.
Le limitate risorse della piccola comunità di Panigaglia sono all’origine, con tutta probabilità, della sorprendente povertà tecnica di questo dipinto: il supporto è quasi privo di adeguata preparazione; il legante oleoso è insufficiente, sì che l’aspetto del colore è tendenzialmente terroso, privo di brillantezza; la doratura delle aureole, pur presente, ha ben poca consistenza.
Un dipinto modesto dunque, sia stilisticamente che tecnicamente; nondimeno, esso ci testimonia dell’orizzonte devozionale delle genti del Golfo della Spezia, dato che allinea, con intenti ancora da indagare, i principali luoghi di culto in esso presenti nella prima metà del Cinquecento.
Si pensa che la tavola di Sant’Andrea possa essere datata fra il primo e il secondo quarto del secolo XVI.