Nostra Signora delle Grazie

Santuario Nostra Signora delle Grazie

Sacra immagine della Nostra Signora delle Grazie

Riguardo alla tavola della Madonna delle Grazie, di cui è ragionevole ipotizzare, per le ragioni esposte nell’introduzione, la presenza nella piccola ecclesia sine cura menzionata nella bolla papale del 1432. 

Nel 1989 la sacra immagine di N.S. delle Grazie (cm. 82,7 x 60) fu sottoposta ad un complesso intervento di restauro, che fu completato con l’approntamento di un’apposita teca in plexiglass, necessaria al fine di proteggere la tavola dalle deleterie conseguenze della permanenza in un ambiente non idoneo dal punto di vista termoigrometrico.
 
Prima del restauro l’immagine presentava un’estesa ridipintura attribuibile con tutta probabilità al secolo XVII; l’esame radiografico, tuttavia, rivelava l’esistenza di uno strato sottostante, lacunoso ma sufficientemente esteso da consigliarne il recupero. Consolidato il supporto, liberate le assi dalla stretta di una spessa colatura di gesso applicata a tergo, si è proceduto alla rimozione della ridipintura in tutte le zone in cui le condizioni del colore originale lo consentissero. La rigorosa cautela con la quale si è proceduto ha sconsigliato la rimozione della ridipintura in corrispondenza del manto della Vergine, poichè il pigmento originale (azzurrite), privo ormai del legante, si trovava allo stato incoerente e rischiava di essere danneggiato dall’asportazione della ridipintura. Il manto della Vergine appare dunque tuttora privo di quelle attrattive (bordo dorato, stelle anch’esse dorate) che la radiografia aveva preannunciato; nulla impedirà, tuttavia, il completamento della rimozione se in futuro il progresso della ricerca applicata al restauro metterà a nostra disposizione nuovi e più sofisticati procedimenti. 
 
Dopo il restauro, la figura della Vergine si staglia solenne sopra un fondo occupato soltanto dall’oro e dal rosso vivo del tessuto operato che ricopre il trono. Non c’è traccia degli angeli che, nell’esemplare di Quarto, reggevano il drappo e ciò favorisce lo spicco della scritta che occupa l’aureola di Maria: GRACIA PLENA DOMINUS.
 
Del saluto angelico non vengono dunque utilizzate, come d’uso, le parole iniziali (Ave Maria), ma quelle immediatamente successive, in modo da enfatizzare al massimo la parola ‘grazia’. Abbiamo dunque la prova del fatto che il dipinto ebbe ab origine l’intitolazione odierna e ciò ci consente di considerare certa la sua iniziale destinazione alla chiesetta menzionata nel 1432.
 
Probabilmente il dipinto fu commissionato pochi anni prima di questa data attingendo alle pie elemosine che la rettitudine di Giovanni da Alessandria e dei suoi seguaci aveva saputo attirare.  Protagonista assoluto nello sfondo, l’oro si riaffaccia, con sommessa raffinatezza, nella manica sinistra e nello scollo della purpurea veste della Madonna, per poi riconquistare un ruolo decisivo nel dialogo con il verde smeraldo del manto principesco del Bambino. Siamo dunque in presenza di un uso assai raffinato, a fini squisitamente espressivi e non meramente decorativi, delle preziose risorse materiche dell’oro, con esiti di maggior consapevolezza, per quanto è possibile giudicare, rispetto alla tavola di Quarto. 
 
Il Bambino stringe nella destra un uccellino, raffigurato con precisione da ornitologo, che tenta di beccare la mano che l’imprigiona; alla bestiola la Madre porge’ ‘un minutissimo oggetto, dall’aspetto di un grano di miglio”, il che consente al pittore di atteggiare graziosamente, esattamente come a Quarto, la mano della Vergine.  
 
Gli incarnati dei volti, solo parzialmente ridipinti, hanno rivelato, a seguito della pulitura, una quantità di sottilissime ombreggiature che rendono continuamente mutevole l’epidermide eburnea.
 
Totalmente scomparso, invece, l’apparato di intagli e fregi che certamente accompagnava l’immagine e che è lecito supporre ricco e fastoso.  Nonostante questi limiti, il recupero di un testo pittorico così importante deve essere sottolineato in tutta la sua pregnanza. Esso consente di dar corpo ad una personalità finora evanescente, alla quale, per il momento, manterremo il nome di Andrea de Aste. Attraverso questo pittore la Liguria può legittimamente aspirare ad essere inserita nel novero delle aree capaci di autonoma elaborazione estetica nel periodo a cavallo fra il primo e il secondo quarto del secolo X.